Violenze collettive saggio di psicologia geopolitica clinica

“Le violenze della storia collettiva hanno un forte impatto sulla psicologia dei singoli individui. Generano sofferenze psicologiche, psicopatologie e sociopatologie gravide di conseguenze individuali e collettive. […] Inscrivere la psicologia nel campo politico, culturale e storico contemporaneo: questo è l’obiettivo del nuovo approccio della psicologia geopolitica clinica.”

Il libro
Noi produciamo storia collettiva e dalla storia collettiva siamo modellati, spesso a nostra insaputa. Guerre, conflitti interculturali, ma anche le grandi trasformazioni territoriali e tecnologiche degli ultimi decenni producono dolore, spaesamento, incertezza che possono sfociare in veri e propri disturbi psichiatrici. Françoise Sironi, allieva di Tobie Nathan e iniziatrice di un nuovo orientamento psichiatrico che pone al centro della cura la dimensione politica dei traumi intenzionali – traumi che hanno radice non nell’infanzia e nella famiglia ma nella collettività –, racconta come è giunta ad elaborare i principi e il metodo che le consentono di alleviare e curare le patologie provocate dagli scontri tra etnie, culture e civiltà. Quanti tra i clandestini e i rifugiati che giungono oggi in Occidente hanno alle spalle storie terribili di abbandono, umiliazione, morte e tortura? Ma anche quanti tra noi sono incapaci di adattarsi ai cambiamenti di un tessuto urbano attraversato dalle violenze interreligiose, sociali, culturali della società contemporanea?
Allo psicologo si pone oggi il compito di costruire fluidità interculturali che non neghino nessuno dei mondi interessati, ma che li sappiano convocare per negoziare soluzioni accettabili prima che si verifichino insanabili fratture: azioni terroristiche, guerre geopolitiche, strumentalizzazione degli odi antioccidentali, violenze urbane. Quella proposta in questo libro è una pratica clinica innovatrice, che raccoglie questa sfida e agisce nei luoghi di interfaccia fra i mondi economici, culturali, religiosi, politici, sociali, in Occidente e altrove.

(estratto)
da 1. Impatto della storia collettiva sulla psicologia individuale
Gli avvenimenti traumatici che attraversano i gruppi, le civiltà e le culture ne modellano la storia. Modellano anche i tipi di disordini psichici che si manifestano nella popolazione. Dopo la fine della guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino le conflittualità del mondo contemporaneo sono divenute più complesse e diversificate. Nel campo della psicopatologia traumatica, oggi ci troviamo di fronte pazienti che hanno conosciuto guerre di bassa intensità, attacchi terroristici, conflitti etnici, torture, genocidi, migrazioni di popolazioni ed esili forzati. Questo ci porta a considerare seriamente il posto che occupa la storia collettiva (politica, culturale, etnica, religiosa, sociale) nella psicologia individuale.

Articolazione fra storia collettiva e storia individuale
L’articolazione fra storia collettiva e storia individuale costituisce il terreno della fabbricazione e strumentalizzazione di quelle che chiameremo emozioni politiche. Cosa significa “articolazione” fra storia individuale e storia collettiva? Georges Devereux prende in esame il rapporto fra due campi o due discipline a partire dal referente psicosomatico. Noi lo studieremo a partire dal referente psicopolitico. In un articolo intitolato Dentro e fuori: la natura dello stress, Georges Devereux scrive: “Il terreno proprio dell’ecologia medica non si situa né dentro né fuori della curva… che ‘separa’ in teoria, ‘unifica’ in pratica l’uomo al suo ambiente. Ciò che interessa lo studioso di psicosomatica è l’‘Io’, sono gli eventi e i processi il cui luogo geometrico è (e crea) questa linea di demarcazione immaginaria. Ciò che si svolge completamente all’‘esterno’ della linea può essere studiato dal sociologo, ciò che si svolge invece dall’altra parte, all’‘interno’, interessa il medico… la differenza principale fra l’‘esternalista’ e l’‘internalista’ è che il primo afferma che i fenomeni di interazione si producono su questa curva, mentre il secondo sostiene che sono i fenomeni percepiti che creano e sono essi stessi la curva”. Georges Devereux conclude così il suo articolo: “Lo studio degli eventi che hanno luogo su questa curva, che, in un certo senso, la creano e la costituiscono, permetterebbe allo psicosomatista di aprire nuove vie a tutte le scienze umane e anche della vita stessa”. Aveva ragione.

La storia collettiva ha un rapporto di complementarità con la storia individuale, che a sua volta ha un rapporto di complementarità con la storia delle emozioni create in ciascuno di noi dal politico. Si tratta allora di cogliere la complessità della storia di un individuo (normale o patologica che sia), considerando più matrici di senso che agiranno in sinergia. Quando incontriamo un blocco in una delle matrici di costruzione di senso (avvenimenti legati alla storia affettiva della prima infanzia, per esempio), un’altra matrice diventerà pertinente, anche se dovesse essere diacronica rispetto alla prima. Nella pratica clinica, nel corso di una psicoterapia per esempio, o di una perizia psicologica, quando una linea di costruzione giunge a un’impasse, la comprensione del “caso” prosegue a partire da un’altra matrice di senso. I fatti vi troveranno un’altra lettura, decentrata o totalmente innovativa rispetto alla precedente. In questo approccio, ispirato alla complementarità come l’aveva pensata Georges Devereux, ogni situazione clinica viene presa in esame dal punto di vista della costruzione delle persone, delle esperienze successive che esse attraversano. È un approccio che tiene pienamente conto del ruolo del contesto, dell’avvenimento esterno. La storia collettiva può essere considerata un vero e proprio oggetto attivo. “Fa fare” delle cose agli esseri umani e ai gruppi. “Produciamo” comportamenti individuali a partire da determinanti legate alla storia collettiva. Per questo motivo la storia collettiva fa parte degli oggetti con cui, tra gli altri, lavora un terapeuta. Incontestabilmente essa foggia i destini individuali e collettivi lasciando un’impronta ben maggiore della traccia degli avvenimenti legati alla sfera individuale, come le vicissitudini della prima infanzia, i conflitti intrapsichici nevrotici… Me lo hanno insegnato quindici anni di lavoro terapeutico con vittime di torture, autori di violenze politiche, emarginati della storia collettiva.

Le violenze psichiche o psicologiche sono potenti marcatori psichici. I ricordi traumatici di guerre, morti, violenze viste o subite hanno uno status mentale particolare. Sono sempre a sé stanti, non sono amalgamati con altri tipi di ricordi. Alcuni di essi costituiranno il terreno di coltura di futuri passaggi all’atto della vendetta. Altri, o gli stessi, saranno alla base di un profondo impegno di non violenza.
Accade spesso che alcuni pazienti vengano ricoverati a più riprese in servizi psichiatrici per violenze o alcolismo, che vengano seguiti per anni in centri medico-psicologici, senza grandi risultati. A volte però, con questi pazienti che funzionano spesso secondo la modalità del pensiero operativo, poco adatti a suscitare l’entusiasmo dei terapeuti, basta esplorare in maniera mirata gli elementi del loro passato legati alla storia collettiva (guerre, impegni militanti, mondi sociali perduti, scomparsi…), alla storia collettiva della loro famiglia, del loro villaggio o della loro regione di origine, perché improvvisamente si animino. I comportamenti violenti assumono allora un senso completamente diverso, per il fatto di essere articolati con un lutto ideologico impossibile da elaborare, o con ricordi traumatici incistati (incriptati) su un versante somatico o decisamente psicopatico. (…)

Francoise Sironi
Traduzione: Lucia Cornalba
Collana: Campi del sapere – Feltrinelli
Pagine: 224 Prezzo: Euro 23

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