La prova del miele

Salwa al-Neimi
Traduzione: Francesca Prevedello
Collana: I Narratori – Feltrinelli
Pagine: 112 Prezzo: Euro 10

“Per me, l’arabo è la lingua del sesso.” L’intimità di una donna araba, la narrazione della sua educazione all’erotismo. Le confessioni impertinenti e sensuali di una Shéhérazade contemporanea.

Il libro
Araba, musulmana e colta, la protagonista di questo libro, nata e cresciuta a Damasco, si è trasferita a Parigi dove si occupa della biblioteca del dipartimento di Arabistica dell’università. Nella sua vita c’è stato un uomo fondamentale, un uomo che le ha aperto un mondo prima sconosciuto, un mondo di erotismo, carnalità e sesso. Questo incontro l’ha portata a mettere in pratica le teorie che ha appreso in anni di letture clandestine degli antichi testi di letteratura erotica araba – a partire dall’insegnamento del maestro sùfi al-Gunayd, “ho bisogno del sesso come ho bisogno del cibo” –, fino a risvegliare i ricordi dell’infanzia siriana, memorie di un mondo degli adulti complesso e contorto, fatto di segreti, tradimenti e passioni. Senza dimenticare le confidenze delle amiche, o i tipici rituali della cultura araba come l’hammàm, e le leggi, i testi sacri, tutto diventa materia di una ricerca che fa del corpo il mezzo e il fine della ricerca stessa. E la protagonista intraprende questo percorso proprio perché si sente figlia orgogliosa di un universo culturale profondamente arabo. Ribalta i luoghi comuni sul rapporto tra sesso e Islam, e ci mostra come nella tradizione araba il piacere sessuale non sia un peccato, bensì una grazia di Dio, un “assaggio”, un’anticipazione dei piaceri che ci attendono in paradiso.

“Per me l’arabo è la lingua del sesso”… Attraverso La prova del miele
“Per me, l’arabo è la lingua del sesso. Quando il mio desiderio aumenta, non c’è lingua che possa prenderne il posto, nemmeno con uomini che non la parlano.” Araba, musulmana e colta, la protagonista di questo libro va alla ricerca della sua vera essenza attraverso il corpo e ci mostra come nella tradizione araba il piacere sessuale non sia un peccato ma una grazia di Dio, un “assaggio” dei piaceri che ci attendono in paradiso.
“Le mie letture segrete mi fanno pensare che gli arabi siano l’unico popolo al mondo per il quale il sesso è una grazia di cui essere riconoscenti a Dio. L’insigne e prode shaykh Sidì Muhammad al-Nifzàwì – sia pace all’anima sua – comincia così la sua opera Il Giardino Profumato: Sia Gloria a Dio, che ha voluto che il più grande piacere dell’uomo fosse la vulva delle donne e che per esse fosse il pene degli uomini. Che la vulva trovi pace, che si plachi, che trovi soddisfazione solo dopo aver conosciuto il pene e viceversa…

Sono o non sono stati gli autori arabi a ritenere che tra gli effetti positivi del coito, oltre alla perpetuazione della specie, ci sia anche un’anticipazione del paradiso? Per loro l’amplesso deve necessariamente prefigurare i piaceri promessi nell’aldilà perché, se così non fosse, far intravedere un piacere irraggiungibile sarebbe cosa vana. Ci gustiamo su questa terra parte della ricompensa che ci sarà elargita in paradiso? Un incentivo alla produzione, direbbero gli economisti. Sarà l’effluvio del sesso a guidarmi in questo mondo, e seguendo la sua scia raggiungerò il profumo del paradiso. Lì, dove la verga non si piega mai, dove la vulva non è mai sazia, dove il desiderio è senza fine. Nel desiderare l’amplesso c’è una sorta di saggezza che deriva dalla ricerca del piacere infinito. La saggezza è un presagio dei piaceri promessi in paradiso e uno stimolo a ricercarli per meritarli. Pensate a quanto è grande la Grazia di Dio, che da un desiderio, uno solo, crea due vite: una visibile e l’altra no. La prima è la vita dell’uomo che perpetua la specie. La seconda è la vita nascosta, quella dell’aldilà. Infatti: è il desiderio appagato a suscitare l’aspirazione a un piacere totale e perpetuo.”

Il Giardino Profumato, probabilmente composto verso la metà del XVI secolo, è uno dei tanti classici della letteratura erotica araba citati in questo libro che “è sì un romanzo, con dei protagonisti che percorrono tutto il libro, ma è soprattutto un testo libero che per certi versi richiama i trattati seicenteschi italiani come Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto. Un capitolo in particolare, dal titolo ‘Della dissimulazione nelle società arabe’ risulta fondamentale per comprendere appieno le società mediterranee” (Paola Caridi).
“Da poi che ho conchiuso quanto conviene il dissimulare, dirò piú distinto il suo significato. La dissimulazione è una industria di non far veder le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch’è”.
Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta (1641)

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