Immagine Grafologia

Una madre ci scrive, preoccupata dal fatto che suo figlio non riesce a dormire, se non nel letto con i genitori. Ha dodici anni: vorrebbe aiutarlo, ma come? Dove sta il suo problema? Una bella domanda. Ma la risposta è forse diversa da ciò che si aspetta: a chi è indirizzato quel messaggio, quel grido di aiuto, e cosa gli fa credere di non poterlo esprimere in altro modo?

Risponde Annarosa Pacini

Il ruolo dei genitori nelle paure dei bambini

Immagine “Mio figlio che ha 12 anni accusa, da circa un paio di anni, una forte tensione prima di andare a dormire; il suo volto cambia espressione e la paura lo attanaglia. Sono due anni che dorme in camera nostra, ma se prima gli bastava questo, adesso nemmeno più gli serve aver avvicinato il suo letto al nostro, o che io gli tenga la mano. Occorre che venga a dormire nel nostro letto per potersi addormentare di colpo per 9 ore filate. Lui è doppiamente angosciato perché sa, essendo un bambino molto sensibile, di arrecare a noi genitori un grande fastidio e ci implora di dargli un sonnifero. Si sente ‘un bambino malato’ e a nulla serve che, sia io che suo padre, si cerchi dei rincuorarlo facendogli capire che gli siamo vicini con tanto amore e che questo passaggio adolescenziale si supera con tanta calma. La visita da un neuropsichiatra infantile ci ha solo detto che ‘sono bambini che chiedono molto a se stessi con un’alta sensibilità e un’intelligenza superiore all’età biologica che nell’adolescente produce uno scompenso’. Chiedo gentilmente di darci qualche indicazione in più sul metodo per fargli superare queste paure”.

Cara amica, questa situazione che state vivendo ha richiamato la vostra attenzione, ma è chiaro che si tratta di un segnale che non può essere visto separatamente dal contesto in cui si è sviluppato.
Sono due anni che vostro figlio manifesta questo comportamento. Due anni in cui un marcatore somatico lo allerta, e lo pone in uno stato di ansia, tale da cessare soltanto se può dormire vicino a voi due.
Intanto, bambino molto sensibile, come tu ce lo descrivi, sa di arrecare ai genitori un “grande fastidio”, vi chiede un sonnifero, si sente un “bambino malato”.
E’ chiaro che la sua capacità di lettura dei messaggi che l’ambiente e le persone gli inviano è molto alta. Ma la sua capacità di interpretarli sarà adeguata? Riuscirà a vedere le cose per ciò che esse significano, oppure utilizzerà dei modelli, le filtrerà attraverso dei comportamenti che proprio voi, cari genitori, gli avete trasmesso?
Il suo timore ha certo radici altrove. Radici che vanno cercate, e comprese. Ha cominciato a dieci anni. Perché? Cosa è cambiato? Chi ha fatto qualcosa per produrre in lui quell’effetto? Nei bambini non bisogna mai guardare il singolo messaggio, il singolo grido di aiuto, né classificare, a volte in modo un po’ semplicistico, un loro segnale di disagio, tra i “segnali dell’età”. Un bambino sereno, a maggior ragione grazie alla sua sensibilità ed intelligenza superiore alla media, saprà gestire e convivere con la sua crescita. Ma sanno farlo anche i genitori? Non conosco tuo figlio, né voi, quindi, non posso darti risposte, perché nella mia esperienza di pedagogista e grafologa, non esiste mai una risposta generale davvero valida per il caso specifico. Esiste solo quella specifica situazione, quello specifico caso, quel bambino unico, così come unici sono i suoi genitori. Ed unici i loro rapporti, la loro comunicazione, l’interazione tra loro e l’ambiente. Soltanto conoscendoli è possibile comprendere la causa del problema, e trovare la soluzione.
Posso farti un esempio. Quando lavoro, nella mia attività di counseling, con i bambini, spesso si scopre che è importante che anche i genitori facciano la loro parte. Uno degli strumenti che trovo più efficaci è sicuramente lo studio del profilo del bambino, attraverso i suoi disegni, ed i suoi scritti. Sono straordinariamente rivelatori: penso adesso ad un caso specifico. Un bambino, che, a 13 anni, a scuola non dà risultati soddisfacenti. E’ frequentemente irritabile per un nonnulla. I suoi primi scarabocchi ci rivelano un bambino attento e profondo, disposto ad andare incontro al mondo, ma guardingo. I suoi disegni ci mostrano un’intelligenza viva, la voglia di scoprire e sperimentare. Poi, l’incontro con la scuola. La ricerca di un modello personale che viene penalizzata. L’esigenza, vissuta come insopprimibile, di aderire alle richieste dei genitori prima, e della scuola, poi. Così, negli anni, invece di utilizzare le sue straordinarie capacità, ha cominciato a dubitare, prima di sé, poi degli altri, a diventare prima diffidente, poi scontroso, quindi, irritabile.
Cosa hanno visto gli adulti? Solo il risultato finale: perde la pazienza. Nessuno ha visto i segnali che certamente avrà dato. O forse, li hanno visti, ma non hanno saputo interpretarli. Non basta l’amore di genitori a renderci persone capaci di relazioni complete ed equilibrate con gli altri, neanche con i nostri figli.
Bisogna saper guardare il figlio come altro da noi, nella sua individualità, comprenderla, aiutarlo ad esprimerla. Nel suo modo, che non può, e non deve essere, quello che un genitore si aspetta. Quando i genitori hanno cominciato a cambiare il loro modo di porsi di fronte al figlio, hanno cominciato a vederlo in modo diverso, lui ha potuto riscoprire la libertà di essere se stesso. Molto sensibile, molto intelligente, non necessariamente perfetto, solo, se stesso.
Questo è l’unico consiglio che posso darti: impara a guardare tuo figlio con occhi nuovi.

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