Immagine Comunicazione, counseling, formazione

A cura di Annarosa Pacini
Problemi con i colleghi di lavoro: risolverli si può
Immagine “Ho 38 anni e vivo una situazione per me diventata insostenibile al lavoro. Ho un carattere introverso, ma quando mi trovo in un ambiente stimolante e soprattutto dove mi sento accettata sono la ragazza più tranquilla, felice e estroversa del mondo.
Se mancano questi presupposti mi chiudo a riccio e penso che tutti ce l'abbiano con me. Dove lavoro ci sono circa una ventina di persone.
Ebbene, io sono emarginata da tutte queste persone, nel senso che nessuno parla con me se non per dirmi cose essenziali (di cui non possono farne a meno) e comunque di lavoro. Mentre fra di loro ridono e scherzano, fanno addirittura cene. So di avere forzato questa situazione, mi sono voluta quasi fare odiare, il tutto rimanendomene in silenzio davanti al computer a lavorare. Si vede che agli altri va bene, così non mi devono affrontare. Infatti solo una persona (quella che proprio detesto sopra tutte le altre e che addirittura mi ha ‘portata’ a comportarmi in questo modo) mi ha affrontata. Voleva sapere perché tengo il muso e che non è bello lavorare così. Io le ho risposto, ma mi creda ho i miei buoni motivi, che quella situazione non l'ho voluta io ma mi ci aveva portato lei con la sua superficialità nei miei confronti.
Infatti questa persona è stata assunta per sostituirmi durante la maternità.
Prima io da sola dirigevo l'ufficio. Prima amica amica ma poi quando sono ritornata io ho dovuto occuparmi di tutt'altro. Lei ora è praticamente la segretaria personale del capo (con il quale va moooolto d'accordo) e si occupa veramente di tutto, tenta anche di mettere i tentacoli ogni tanto sul mio lavoro.
Risultato: lei è superbenvoluta da tutti, io no.
Riconosco le mie colpe, se così si possono chiamare, in quanto è una situazione che ho voluto io. Perché non le voglio queste persone nella mia vita, non voglio avere a che fare con persone che seguono il branco, che ascoltano magari commenti sulla mia persona e si convincono che io sono fatta così, non voglio avere a che fare con persone che fanno finta che io non ci sia. Io ho una famiglia che mi vuole bene, e fuori dal lavoro sono un'altra persona ma è sempre più difficile staccare e ora sono veramente infelice. Entro al lavoro e mi piazzo davanti al pc e non parlo con nessuno. Tutto il giorno, tutti i giorni. Si prospettano obbiettivi felici entro la fine dell'anno per me e la mia famiglia (apertura di un'attività) ma nel frattempo? Ma perché questa persona si è impadronita in questo modo della mia vita?”.


Carissima, rispondere alla tua lettera offre un’occasione davvero ottima per far capire come la comunicazione influenzi la nostra vita, come la percezione delle cose crei modelli che ci allontanano dalla realtà, e come si possa capire un percorso anche semplicemente “leggendo” con attenzione attraverso il significato delle parole.
Di seguito, ti propongo alcune delle frasi che tu stessa hai scritto, dividendole in due diversi gruppi. Questa divisione è semplicemente un escamotage pratico per rendere meglio evidenti alcune cose.
Primo gruppo
1 - “Ho un carattere introverso, ma quando mi trovo in un ambiente stimolante e soprattutto dove mi sento accettata sono la ragazza più tranquilla, felice e estroversa del mondo. Se mancano questi presupposti mi chiudo a riccio”
Tradotto, significa che decidi di comportarti in un modo anziché in un altro soltanto quando la situazione corrisponde a quello che vuoi tu. Altrimenti sei in guerra con il mondo. In più, implicitamente, dai un giudizio sul tuo ambiente di lavoro e sui tuoi colleghi, che non sono, per te, stimolanti
2 - “Solo una persona (…) mi ha affrontata. Voleva sapere perché tengo il muso e che non è bello lavorare così. Io le ho risposto, ma mi creda ho i miei buoni motivi, che quella situazione non l'ho voluta io ma mi ci aveva portato lei con la sua superficialità”
. Anche qua, riflettiamo sui termini. Ti ha “affrontata”, non “ha parlato con te”. Perché parlare con te, semplicemnte, non si può? Il resto della frase ci dice che tu ti comporti come credi perché hai le tue regole che rispetti e fondamentalmente non ti interessa di quelle degli altri, che non ritieni possano valere quanto le tue. In più, dai un giudizio negativo anche sulla tua collega, superficiale, (vuota, vacua, prima di valore, non profonda – come te?). Anche in questo caso, guerra aperta. Tu, e tutti gli altri.
3 - “Non le voglio queste persone nella mia vita, non voglio avere a che fare con persone che seguono il branco”
Altro giudizio negativo: persone che seguono il branco, senza personalità, senza spina dorsale. Tu sei diversa da loro, ma questo non ti basta. Non ti è sufficiente essere come hai deciso di essere, soddisfatta di te, e che ognuno possa esprimersi come crede, libero della sua vita. No, non vuoi le persone che da te sono diverse. Ora, come si fa a risolvere questo dilemma? Le obblighiamo ad essere come te? Le rinchiudiamo tutte? Le sottoponiamo ad un bel lavaggio del cervello?
Secondo gruppo
1 - “Se mancano questi presupposti mi chiudo a riccio e penso che tutti ce l'abbiano con me”.
Tradotto, sappiamo che sei poco elastica e flessibile, che ti aspetti che tutti si comportino in un modo che ti gratifichi, corrispondendo alle tue regole. Così, chi è diverso, è cattivo.
2 - “Nessuno parla con me se non per dirmi cose essenziali (di cui non possono farne a meno) e comunque di lavoro. Mentre fra di loro ridono e scherzano, fanno addirittura cene”.
Non è scritto da nessuna parte che con i colleghi di lavoro si debba essere anche amici. Né che si debba essere amici con tutti. Né che non si possa scegliere chi ci piace di più, e chi meno. Cosa vuol dire “fanno addirittura cene”? Se sono amici, fanno bene. E’ normale. A te non toglie, né aggiunge nulla.
3 - “Non voglio avere a che fare con persone che fanno finta che io non ci sia”.
Appunto, come sopra. Se non vuoi avere a che fare con loro, cosa ti interessa del rapporto che hanno tra loro? Poi, se fanno finta che tu non ci sia, dovresti essere soddisfatta: hai raggiunto il tuo obiettivo, che è quello di non avere a che fare con loro. Come dovrebbero regolarsi? Ti accontentano. Praticamente, hai vinto.
4 - “Si prospettano obbiettivi felici entro la fine dell'anno per me e la mia famiglia (apertura di un'attività) ma nel frattempo?”

Nel frattempo, proviamo a dare una chiave di lettura diversa della situazione. Provo a leggere ciò che ci hai detto applicando alcune regole della “buona comunicazione”, il non giudizio e la coerenza.
La regola del non giudizio richiede che si affrontino i rapporti con gli altri senza essere prevenuti. Se io leggo ciò che racconti senza usare il tuo filtro, ho questa storia: c’è una persona con un carattere un po’ introverso, che si adatta soltanto quando le cose sono come dice lei. E’ un po’ invidiosa dei suoi colleghi di lavoro, della loro amicizia e della loro felicità. Anche di una collega di lavoro, che tutti, eppure, stimano. Questa collega di lavoro, nonostante tutto, nonostante che i rapporti tra di loro non siano idilliaci, comunque ha tentato un contatto, ha cercato di capire perché la sua ex-amica tiene il muso. Ma non è servito a nulla. La nostra amica continua a non volersi mischiare alla vile plebaglia, ma contemporaneamente vorrebbe anche far parte del gruppo.
Ho riflettuto se il caso che mi esponi poteva, in qualche modo, raccontare un episodio di mobbing. Ma ci alcune sfumature che mi offrono tracce diverse. Ecco qua la coerenza. La coerenza nella comunicazione è un segnale importante: se gli altri non ti interessano, allora se ti lasciano per conto se felice, tanto più che presto realizzerai un tuo bel progetto. Se ritieni che siano pessimi soggetti, perché preoccuparti? Che se ne stiano tra loro. Quando, invece, tra il comportamento, il pensiero e la comunicazione ci sono evidenti segnali di non coerenza, si può deduttivamente dedurre che il modello di comportamento che hai scelto, magari utile in un periodo della tua vita, perché ti “difendeva” dagli attacchi esterni, oggi non ha più ragion d’essere. Tu continui a seguirlo, e a “leggere” ciò che ti accade attraverso questa griglia, che però ti sta stretta. Da qui l’insofferenza.
L’insofferenza, la sofferenza, le esperienze anche negative, sono dei grandi regali che la vita ti dà: sono occasioni per cambiare e per crescere. Per decidere se davvero vuoi rimanere quella incollata al computer che non parla mai con nessuno. Oppure, se vuoi imparare a vivere la vita attraverso altri modelli, confrontandoti serenamente, esprimendo il tuo pensiero. Che non vuole dire “giudicare”.
La collega ti chiede “perché tieni il muso” e aggiunge che “non è bello lavorare così”. Risposte tipo: “è colpa tua, siete voi che non mi capite, voi spettegolate alle mie spalle” non servono a nulla. Il silenzio, non serve a nulla. La verità e la coerenza, servono. “Ti ringrazio per questa domanda. In effetti, a volte mi sembra di essere messa da parte, mi pare che mi evitiate, questo mi rattrista, mi chiudo in me stessa, perciò metto il muso. Anche per me non è bello lavorare così. Vogliamo provare, insieme, a cambiare?”.
Lei ti risponde, tu anche, e così le cose cambiano.
Così darai agli altri modo di conoscerti, e nessuno parlerà di te senza sapere chi sei. Questo non significa certo che piacerai a tutti, o che tutti dovranno piacere a te. Significa solo che ognuno sarà libero di essere se stesso, senza per questo pretendere che gli altri siano qualcosa di diverso da ciò che possono essere.
Sai che i proverbi sono la saggezza dei popoli, perché raccolgono, e tramandano, in forma orale, le conquiste di esperienze di popoli e generazioni.
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”.
“Una mano lava l’altra, tutte e due lavano il viso”.

Due proverbi. Una strategia di comportamento nuova. Così si cambiano le cose, si migliora la vita. Perché la tua vita dipende da te.
“A buon intenditor, poche parole”.

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